“La
depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria
tavola ed ascoltare”. Carl Gustav Jung
E’ un invito ad accoglierla ed
ascoltarla perché ha qualcosa da dirci
su di noi; qualcosa che si presenta con un aspetto un po’ tetro, ma che in
realtà ci appartiene, e soprattutto potrebbe esserci utile.
Quello che si può definire “umore
nero”, è composto da sentimenti di delusione, frustrazione, tristezza, e spesso
sensi di colpa.
Perché i sensi di colpa?
Perché
avvertiamo di non essere come idealmente dovremmo o vorremmo essere, secondo il
nostro ideale dell’Io; perché sentiamo di esserci discostati da un precetto
morale, da come dovremmo essere secondo l’educazione ricevuta, magari troppo
rigida, e non così realistica. In base ad essa non riusciamo ad accettare i
nostri errori, le nostre discrepanze rispetto al modello.
Un’altra importante causa del senso di
colpa è la comprensibile rabbia,
provata a fronte di una frustrazione, delusione, costrizione; tale rabbia può
essere erroneamente considerata negativa o “cattiva”, e dunque provocare
ulteriori sensi di colpa.
Se
si riesce a sollevare la rabbia dal peso dei sensi di colpa, e spesso ciò
avviene nello spazio dialogico e non giudicante della psicoterapia, essa
diventa combattività e può essere molto utile a prendersi spazi psichici dove
poter affermare se stessi, nonostante e talvolta proprio a partire dalle
inevitabili frustrazioni.
A tal proposito è interessante notare
come nei sogni delle persone depresse, accanto ai paesaggi gelati e
desertificati che descrivono la loro situazione psichica, compaiono con una
certa ricorrenza animali che lottano per il territorio e che rispondono
istintivamente ad una situazione di difficoltà.
I sogni consentono di riprendere il
contatto con emozioni che, per quanto disturbanti, aiutano a lottare per la
propria autonomia.
La
rabbia è solo uno degli aspetti che possono emergere ed essere utilizzati, poi
ci sono tutti gli scostamenti dall’ideale, che però corrispondono
autenticamente a noi e alla nostra vita. Le frustrazioni stesse.
Quali sono le possibilità di venire a
patti con una frustrazione?
Innanzitutto è importante non sentirsi,
per ciò stesso, da meno; come se non fosse prevista la frustrazione nelle
proprie vite, in un paradigma in cui le performances siano sempre al massimo, e
in cui tutti i desideri siano appagati; e se così non è deve essere responsabilità
di qualcuno, preferibilmente nostra.
Cambiando prospettiva, invece, si può
prendere atto della frustrazione, e accoglierla come parte di sé accanto ad
altre, acquistando così conoscenza, realismo e libertà, anche di perdere eventualmente.
Ricordo il sogno di una paziente in cui la protagonista partorisce pietre, e si
occupa di loro quasi come fossero dei bambini. Per lei è stato possibile attraverso il sogno riconoscere l’importanza di
occuparsi anche degli aspetti frustranti della propria vita (le pietre), e di
quanto tutto questo le desse in realtà solidità e libertà.
Mi viene in mente l’aforisma impresso
all’entrata del museo Kiasma di arte contemporanea ad Helsinki: “Viviamo
in un mondo folle in cui tutti vogliono tutto a tutti i costi”.
Se è questo il clima culturale in cui
viviamo, da un lato è più difficoltoso prendere atto e accogliere le proprie
frustrazioni, perché in contrasto con le aspettative diffuse, seppur folli; ma
allo stesso tempo diventa ancora più importante farlo, per favorire la propria integrazione e sanità mentale,
che comprende e necessita anche degli aspetti frustranti, vissuti questa volta
con realismo e libertà.
Questo argomento viene trattato anche nel mio sito, nei post Depressione e Depressione: è utile la terapia di coppia?
Questo argomento viene trattato anche nel mio sito, nei post Depressione e Depressione: è utile la terapia di coppia?